Le mosse del cavallo
Tra segni del passaggio e passaggi del segno
Gian Piero Jacobelli - Rubbettino 2008
Si dice che la vita comporta un incessante passaggio, da un modo di essere a un altro modo di essere e, infine, dalla vita alla morte. Si può anche dire che proprio intorno a questo passaggio si sono articolate le diverse culture, con i loro miti e riti, intesi ad arginare, interpretare e rendere funzionale l'ansia che ogni passaggio comporta. Nella civiltà contemporanea, in cui il passaggio sembrerebbe rimosso dalla continuità tecnologica, resta l'esigenza di dare un senso al cambiamento e alle conseguenti istanze formative, come dimostrano gli interrogativi che si addensano intorno alla Rete e alle sue prospettive. Il passaggio, individuale e collettivo, viene analizzato sulla base di una ipotesi emersa dalla ricerca antropologica del secolo scorso: per passare, per cambiare, è necessario uscire da sé, attraversare un periodo di margine e tornare presso di sé, con nuove potenzialità. La "mossa del cavallo", che negli scacchi serve per aggirare le opposte difese, chiama in causa una complessa procedura concettuale, linguistica e operativa, che si estende dai "riti di passaggio" di Van Gennep alla "crisi della presenza" di De Martino, dalla "sovradeterminazione del segno" di Barthes alla "commutazione di codice" di Eco. L'antropologia del "passaggio" si configura, quindi, come una alternativa alla sociologia del "processo", coinvolgendo la concezione della filosofia come "esercizio spirituale" e la diatriba tra parola e immagine, sino all'attuale riflessione sui "new media".