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Agroalimentare, più export «made in Italy»: «Nel 2050 un consumatore su 10 nel mondo mangerà italiano»

I dati emersi dal Seminario «Food, Wine & Co. – Verso la Sostenibilità» con Tor Vergata, con Fiera di Roma e Coldiretti: «Il Covid ha cambiato i comportamenti di acquisto», ma il 35% delle aziende non è interessato dalla sostenibilità, che è invece un trend vincente.

Il futuro dell’agroalimentare italiano è la sostenibilità: ma se il 28% delle PMI è virtuoso, il 35% ancora nega il green. Questo quanto emerge da uno studio condotto dall’Università di Tor Vergata. Il settore agroalimentare italiano sta riuscendo a resistere all’impatto del Covid-19 soprattutto grazie all’export. Addirittura, recenti studi evidenziano che attualmente l’agroalimentare «made in Italy» nel mondo è in crescita e vale 41 miliardi di euro; mentre secondo una ricerca, nel 2050, quando la popolazione mondiale passerà dagli attuali 7 miliardi agli 8-10 miliardi , 1 consumatore su 10 nel mondo mangerà cibo italiano .

E’ l’istantanea del settore fotografata dalla IX edizione del Seminario «Food, Wine & Co. – Verso la Sostenibilità», appena tenutosi a Roma. Un evento ideato e organizzato dalla Prof.ssa Simonetta Pattuglia e dal Master in Economia e Gestione della Comunicazione e dei Media di Roma Tor Vergata – del quale la Prof.ssa Pattuglia è Direttore – in collaborazione con Fiera Roma e Coldiretti. L’evento è stato anche l’occasione per presentare un recentissimo studio relativo al “Green Marketing” delle PMI italiane, effettuato dalla Prof.ssa Pattuglia e dal suo gruppo di ricerca dell’Università di Tor Vergata. Il presupposto è quello che la sostenibilità è divenuta un vero e proprio trend, in grado di determinare le scelte dei consumatori (per il quali un prodotto sostenibile si fa preferire per il 28% rispetto ai prodotti concorrenti) e fare da spartiacque per il futuro delle aziende del settore.

Proprio le PMI sono state l’oggetto della ricerca, che ha analizzato un campione di 46 aziende italiane utilizzando un questionario per indagare la cosiddetta “sostenibilità olistica”: ovvero il rapporto tra quota di fatturato investita in “sostenibilità” e azioni di “green marketing”. L’istantanea che ne deriva, vede il 35% del campione negare il concetto di sostenibilità, non mettendo in pratica alcuna pratica green, neanche da punto di vista comunicativo. Il 7% delle Pmi analizzate tollerano la sostenibilità, ovvero investono in questa solo perché obbligate, ma non la vedono come opportunità di crescita. Il 30% del campione è invece costituito da realtà che vivono la fase della “comunicazione”, ovvero che si stanno attivando per comunicare il proprio impegno in tal senso, cercando una maggiore visibilità all’interno dello scenario competitivo ma che, fattivamente, effettuano scarsi investimenti green. Le PMI più virtuose, quelle già a prova di futuro, sono il 28%: “vivono” sostenibilità, la considerano una strategia di lungo periodo, che conduce ad un vantaggio competitivo.

Protagonista del seminario è stato, per forza di cose, anche il forte impatto che il Covid ha avuto su tutto il settore, rendendo gli italiani più coscienziosi sulla scelta dei prodotti alimentari. Un’attenzione che si concentra soprattutto sul biglietto da visita dei prodotti, ovvero l’etichetta. La lettura di questa, prima dell’acquisto, è divenuta una pratica consolidata. Ma quali sono gli elementi che pesano nella scelta di un prodotto? Il «made in Italy» è un fattore in grado di spostare le vendite: la dicitura «100% italiano» comporta una variazione del +8.8% delle vendite, seguita dalla certificazione “DOC” con un +7.2%, quindi da “DOCG” con un +6.8%. Ma basta pensare che la sola presenza del tricolore, pesa per un +3% .

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