La Rassegna Stampa

Le sfide della Food Innovation: fare sistema è la parola d’ordine

27/11/2017
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A lungo il mondo agroalimentare è parso poco glamorous, con scarso appeal e un marketing di settore che faticava  nel comunicare (e vendere) i prodotti italiani sebbene, a differenza di altri, questi siano sempre stati nobili”. A parlare è Simonetta Pattuglia, ideatrice – insieme a Paola Cambria – del concept di Food Wine & Co., il seminario di formazione organizzato dal Master in Economia e Gestione della Comunicazione e dei Media dell’Università di Roma “Tor Vergata”, in partnership con Cinecittà Studios e con il patrocinio di Ferpi e Ansa.

Food Wine & Co.: il seminario

“Il settore agro-alimentare a livello europeo oggi conta 30 milioni di posti di lavoro, pari al 13% dell’occupazione totale,” – prosegue Pattuglia, professore aggregato di Marketing, Comunicazione e Media e direttore del Master – “le imprese registrate sono più di 800.000 e di queste oltre 50.000 sono guidate da under35; un settore che pesa sull’economia italiana per il 13.5%”.

 

Cosa vuol dire “innovare nel Food”?

E, dunque, fare innovazione in questo settore, per Pattuglia, vuol dire curare in modo professionale e creativo sia il prodotto che i processi, significa  riorganizzare in un’ottica globale la stessa organizzazione delle micro, piccole e medie imprese italiane (senza pregiudicare la stessa artigianalità dei prodotti). E implica necessariamente anche adeguare in chiave strategica il marketing e la comunicazione di quest’ambito.

Le “buone pratiche”

Innovare il prodotto vuol dire reinventarlo così come riscoprirne i valori tradizionali, è quello che emerso attraverso il racconto di best practice come quella di Orange Fiber raccontata da Enrica Arena, la riscoperta di prodotti noti come il caso del Vermouth presentato da Roberto Bava e quello dell’Accademia del Latte raccontato dal fondatore Domenico Ferrari. Le nuove frontiere dell’olio analizzate con Roberto Fazzari di RevOILution e il caso Bottega Portici illustrato da Riccardo Bacchi Reggiani; il legame tra cibo e vino spiegato da Livia Lo Giudice, Geologa, ma anche il fenomeno della retro-innovazione spiegato dall’Antropologo dell’Università di Tor Vergata, Ernesto Di Rienzo.

Le storie

Si è parlato di agricoltura come veicolo di inclusione sociale con l’esperienza del Distretto Produttivo Agrumi di Sicilia raccontata da Vera Leotta, di digitalizzazione di filiera e connected farm con Claudia MerlinoCIA-Agricoltori Italiani ma anche di prospettive del biologico nel mercato internazionale con Massimo Monti, AD di Alce Nero.

 

La Strada del Vino Friuli Venezia Giulia

Tra le case history di comunicazione, c’è la Strada del Vino Friuli Venezia Giulia, progetto gestito da PromoTurismoFVG e raccontato da Diana Candusso che è la Responsabile Prodotto Enogastronomia.

“Dando una regia unica in mano a un’Agenzia regionale per la promozione turistica, hai anche un unico interlocutore, che semplifica la conoscenza del nostro territorio – dalla montagna al mare – si ha possibilità di visitare strutture – cantine, produttori, strutture che fanno ospitalità – che rispettano determinati requisiti, che sono innanzi tutto standard di qualità nell’accoglienza dei turisti  come nella competenza linguistica”.  A differenza di altre Strade, quella del Friuli Venezia Giulia ha anche una legge regionale dedicata, piuttosto recente, di due anni fa. E questo rende il progetto ben più strutturato e strategico rispetto ad altri.

La sfida è dunque quella di unire un sistema di eventi che in Friuli Venezia Giulia vengono ormai promossi con grande capacità, consapevolezza e competenza, a un sistema di quotidianità, in cui il rapporto con il turista sia strutturato in maniera omogenea, sempre professionale e accattivante, per garantire una accoglienza di qualità in ogni momento dell’anno e in ogni diversa realtà del territorio.

“Chi arriva in Friuli Venezia Giulia”, spiega Candusso, “si geolocalizza oppure ha una mappa cartacea, e ha la possibilità di scegliere quale esperienza vuole vivere del nostro territorio: una legata al gusto oppure all’arte e alla storia, una visita in cantina oppure un ristorante con caratteristiche particolari”.

“Per ora abbiamo 200 strutture aderenti: ancora non tutti sono pronti a offrire un’offerta di gamma alta ma prevediamo che con un percorso di formazione adeguato, nel giro di due anni potremo completare l’offerta complessiva”.

Il cibo è strumento identitario”, ha chiosato Pattuglia, “metafora sociale e morale, strumento comunitario e di socializzazione ma anche linguaggio, codice di comunicazione, oggetto di scambio culturale, tradizione ed innovazione”, chiosa, “una vera fonte di “country branding” per il nostro Paese, oltre ad essere uno dei pochi settori, insieme all’arte e poco altro, in grado di coniugare insieme etica, morale, esperienzialità e piacere”.

Acqua Filette: “L’acqua più pura”

Dell’acqua si danno spesso per scontate sia la ‘trasparenza’ che l’accessibilità: invece così non è”, racconta a GnamGlam Mattia Bellomi che in Acqua Filette si occupa di Comunicazione.

“Acqua Filette è tra le più pure acque oligominerali italiane, sgorga limpida dalla sorgente di Guarcino a 900 metri di altezza sul livello del mare, nella cornice verde e incontaminata delle montagne dell’Appennino Laziale”.

L’azienda imbottiglia l’acqua della sorgente Filette nel cuore delle montagne della Ciociaria più verde e incontaminata. La fonte si trova nel comune di Guarcino, a nord di Frosinone, e ha una portata annua di circa 50 milioni di litri. In zona non ci sono insediamenti industriali, non ci sono campi concimati, non ci sono pascoli intorno, non c’è nulla, salvo l’acqua che sgorga.

Imbottigliata e distribuita a partire dal 1894, premiata  nello stesso anno all’esposizione Internazionale di Medicina ed Igiene di Roma e nel 1933 alla Fiera campionaria di Tripoli,  Acqua Filette ha avuto notorietà come acqua salubre e curativa.

Sulla base di questa tabella comparativa “l’Acqua Filette, con solo 0,3 mg/l di nitrati, si pone sul mercato come una delle acque più pure al mondo, vantando qualità organolettiche di raro equilibrio”.

I nitrati  – che vanno, a differenza dell’arsenico, obbligatoriamente in etichetta – sono sostanze presenti normalmente in concentrazioni minime e non pericolose. Tuttavia il massiccio impiego di fertilizzanti in agricoltura, la forte concentrazione di capi di bestiame in piccoli appezzamenti, la dispersione nel sottosuolo degli scarichi civili o industriali, possono causare la penetrazione nel terreno di questi ed altri composti azotati, con conseguente inquinamento delle falde acquifere. Se assunti in eccesso i nitrati possono seriamente ostacolare il trasporto di ossigeno nel sangue, con conseguenze pericolose soprattutto per i neonati.

Le analisi effettuate all’inizio del 2012, hanno certificato una ulteriore diminuzione di nitrati presenti in acqua Filette; bere un’acqua con un livello di Nitrati pari a 0,3 mg/l vuol dire assumere un prodotto pressoché puro.

Il futuro dell’innovazione nell’agroalimentare

L’innovazione agroalimentare affronta oggi importanti sfide legate all’approvvigionamento, la sicurezza alimentare, il lavoro e la sostenibilità ambientale.

“L’innovazione del settore food&wine va pensata come un approccio ad una nuova alfabetizzazione lontana dalla spettacolarizzazione e focalizzata sulla conoscenza, su nuovi processi e nuove professioni in agricoltura, nella trasformazione e nei servizi, più che nuovi prodotti. Una visione olistica che racchiuda tutti gli elementi presenti a livello di marketing e comunicazione”, ha concluso Simonetta Pattuglia.

lunedì 27 novembre 2017